Intervista con una prostituta - Le nuove schiave della crisi - (Periodico "Lo Strillo" - Giugno-Luglio 2014)

Ci sono storie che non possono essere taciute, anche se molto tristi e spigolose, perché sono un efficace mezzo per poter capire le contraddizioni, i problemi e le emergenze della nostra società.
Qualche giorno fa entro in un bar ed incontro una mia amica polacca che lavora  lì.
Lei sta discutendo animatamente  con un'amica  sua connazionale che ad un tratto se ne va. La mia amica ha gli occhi gonfi di pianto; le chiedo il motivo è lei mi  racconta che la sua amica ha fatto davvero una brutta fine. Dopo  un po' mi racconta che da una vita  normale in cui faceva la commessa in una città siciliana e dopo un investimento azzardato per rilevare un negozio d'abbigliamento, a causa dei debiti, del  calo dei consumi, delle tasse e della crisi si è ritrovata sul marciapiede a battere.
Decido che è una storia che  va raccontata, chiedo il  numero  di cellulare alla mia amica e faccio di tutto per incontrare quella sventurata sconosciuta e per raccogliere la sua amara testimonianza.
Nella notte le luci della città si perdono arancioni oltre una pesante nebbia di smog, luogo dimenticato di graffiti rabbiosi, di palazzi decadenti e di auto che procedono lente, piene di squallide solitudini. Agli angoli della strada abiti succinti che contengono ragazze giovanissime invecchiate anzitempo. È qui che incontro quella sventurata sconosciuta.
La prima cosa che mi dice è che è una cittadina italiana e mi fa vedere la sua carta d’identità, si fa promettere il totale anonimato e, dopo secondi di silenzio che sembrano eterni, inizia a raccontarmi la sua storia.

“Quando ero in Sicilia avevo un fidanzato con il quale progettavamo di sposarci, avevo una casa con tutti i confort, lavoravo in un negozio d’abbigliamento ed avevo tanti sogni.
Il mio lavoro mi assicurava un guadagno di circa 900 euro mensili, spesso non riuscivo a conservare nulla, qualche volta le spese mensili superavano i guadagni, ma ero serena, ed ero comunque riuscita a risparmiare qualcosa per far fronte agli imprevisti. Due anni e mezzo fa il negozio dove lavoravo fu costretto a chiudere, e con due amiche decidemmo di aprire un’attività commerciale sempre nel settore dell’abbigliamento femminile e dell’oggettistica. In questo progetto investii quasi tutti i miei risparmi (circa 30 mila euro). Nei primi mesi, nonostante tutti gli sforzi e la tensione, non potevamo lamentarci: i nostri articoli erano economici ma di buona qualità ed i guadagni, anche se ancora non ci avevano permesso di rientrare con l’investimento, ci permettevamo una vita dignitosa e senza debiti.
I guai sono iniziati circa un anno dopo l’inaugurazione del nostro negozietto, cioè all’incirca un anno fa, quando le vendite erano nettamente calate e ci siamo trovate a dover pagare i fornitori e le tasse e le bollette che continuavano ‘a correre’. Abbiamo cercato di ottenere un prestito dal circuito delle banche ma ci è stato negato, e purtroppo abbiamo chiesto soldi a gente pronta a darceli, ma senza scrupoli”.
(Abbassa gli occhi, sta per piangere, le stringo una mano. Poi rialza lo sguardo e mi guarda con occhi lucidi e decisi).
Adesso sei in questa città sconosciuta su di un marciapiede… Possibile che nessuno ti abbia aiutata? Perché non hai denunciato? Perché non te ne sei fuggita in Polonia?
“Denunciato? Tu non hai neanche idea di che tipo di persone parlo! Una notte sono stata svegliata dal rogo della mia auto sotto casa. È gente che mi avrebbe trovata ovunque e che ti uccide per cento euro.
In Polonia non mi è rimasta che la mia vecchia madre, che quando la chiamo fingo sorrisi che non ho. Lei non sa neanche che da mesi mi trovo a Napoli…
Tranne che due, forse tre amiche con le quali potermi sfogare, non ho più nessuno. Sono soltanto questi i casi nei quali ti rendi davvero conto della qualità delle persone che ti hanno circondata… Tanti volti, tante voci, e poi all’improvviso il silenzio, il nulla.
La seconda notte che ero a Napoli, ho aperto l’imposta del balconcino della pensione in cui vivo, e mi sono seduta sulla ringhiera; ho acceso una sigaretta e, dopo qualche boccata, l’ho lanciata nel vuoto. Avevo deciso che quando la sigaretta avrebbe fatto le scintille toccando la strada, l’avrei seguita anch’io.
Ma poi ho chiuso gli occhi, e quella notte ho capito che esiste Dio, perché nelle lacrime ho capito che in un modo o nell’altro ce l’avrei fatta.
Anche quando sono per strada, quando mani sfiorano il mio corpo, anche allora Dio è con me e mi ricorda che sono una persona. A volte chiudo gli occhi e prego con la mente. Questo è l’unico modo per sentirmi me stessa, per darmi valore”.

Mi tolgo una leggera sciarpa di cotone e gliela metto al collo per le notti più fredde e per quanto sente più forte la solitudine. Un sorriso, e la sua elegante figura scompare nella notte in una strada abbandonata, dimenticata della città.
Qualche giorno dopo lei mi invia una richiesta d’amicizia su Facebook, mi vergogno a dirlo, ma non l’accetto; è troppo dura per me vedere una biografia spezzata a metà: foto, sorrisi e poi ad un certo punto frasi piene di volgarità di uomini dalle immagini del profilo normalissime con cani o nipotini.
Come può una donna normale sopportare tutto questo?

In bocca al lupo carissima sconosciuta, e che la nostra città non ti divori come ha fatto con tante persone.

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