Ricordando Robert Capa (Grandi fotografi)


Robert Capa: una vita da zero a cento

Robert Capa, pseudonimo di Endre Ernö Friedmann, nacque nella parte Pest di Budapest, il 22 ottobre 1913.
Pest era la parte cosmopolita,  sofisticata e intellettualmente più attiva della città dove si parlava prevalentemente tedesco, invece che ungherese.

Capa presenta due caratteristiche particolari alla nascita, una folta criniera nera e un dito in più ad una mano, che verrà asportato chirurgicamente in seguito. Caratteristiche interpretate dalla madre come segni di un grande destino.

Julia, la madre, è titolare di un’elegante sartoria ed è una donna determinata e dedita al lavoro; il padre Dezsö è primo tagliatore della sartoria della madre.
Capa prenderà molti lati del suo carattere dal padre, giocatore, un po’ irresponsabile e un po’ bugiardo, ma soprattutto abilissimo narratore di storie che affascinano il piccolo Robert.
Capa, a proposito del suo modo veloce di lavorare, dirà: “Non sono interessato a fare belle foto, ma innanzitutto desidero di ‘vedere’ una storia e di raccontarla attraverso le immagini.”

La sua prima gioventù è caratterizzata da uno stile di vita estremamente libero, errabondo e sperimentatore, che in qualche occasione lo esporrà anche a gravi rischi.

Poco prima che compiesse i diciotto anni, stanco della dittatura repressiva e antisemita di Miklós Horthy e insofferente delle regole asfissianti della vita borghese dell’epoca, si unisce ai moti socialisti e sindacali.

La polizia lo tiene d’occhio, finché una notte non gli piomba in casa per arrestarlo; si salva, a condizione che lasci immediatamente il paese,  soltanto grazie all’intervento del capo della polizia, la cui moglie è cliente della sartoria della madre.

A poco più di diciotto anni, Robert lascia la prima e unica casa che ha mai avuto e si trasferisce a Berlino per studiare scienze politiche e giornalismo, professione che lo affascina, presso la Deutsche Hochschule.

Nel 1929, a causa della grande depressione americana, la famiglia non è più in grado di sostenere economicamente i suoi studi.
Robert, non parlando bene tedesco, decide di ripiegare sulla profressione di fotografo e trova un impiego come assistente alla camera oscura e fattorino alla Dephot, un’importante agenzia fotografica.

Simon Guttmann, il direttore dell’agenzia si rende conto del suo straordinario talento e  gli presta una Leica, molto maneggevole e di facile utilizzo, e lo spedisce in giro per la città a cogliere la vita artistica e gli eventi.

Guttmann, importante esponente dell’avanguardia artistica tedesca, resosi conto delle doti straordinarie di fotografo che ha Robert, gli offre un’occasione straordinaria e lo invia a Copenhagen per fotografare Trockij, invitato dagli studenti danesi per parlare della Rivoluzione russa.

Nonostante Trockij non gradiva essere fotografato, il giovane Capa, riuscendo ad eludere la sorveglianza, anche grazie alla maneggevolezza e alle dimensioni contenute della sua Leica, tornerà in Germania con una serie di foto in grado di testimoniare lo straordinario carisma di Leon Trockij.

Con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, Capa da simpatizzante comunista e da ebreo è costretto a lasciare la Germania e si trasferisce a Parigi.

André, come si faceva chiamare al tempo, si ritrova in una città piena di fotografi. In gravi ristrettezze economiche tira avanti tra vari espedienti, anche qualche furtarello.

A Parigi entra in contatto con molti giovani fotografi, tali contatti creeranno le fondamenta per la Magnum, la rinomata agenzia fotografica della quale sarà cofondatore alla fine degli anni quaranta.
André entra in contatto con David Szymin, chiamato “Chim”, pronuncia “Shim”, fotogiornalista caratterizzato da una cultura vastissima, che lo presenterà a Henri Cartier-Bresson, il famigerato fotografo dell’“attimo rivelatore”. (Capa, “Chim” e Bresson saranno tre dei cinque fondatori dell’agenzia Magnum).

Robert-André riceverà un’importante lezione dalla straordinaria sensibilità di Shim: “Per scattare delle immagini drammatiche non basta essere aggressivi, se al momento di scattare non si sostituisce la propria sicurezza con tutta la sensibilità e la tenerezza delle quali si è capaci.”

Gerda Taro e Robert Capa, Parigi 1934

Nel 1934 André conosce Gerda Pohorylles, una profuga tedesca di più anni più grande di lui, il più grande amore della sua vita.
Gerda, una donna decisa e geniale, segretaria e militante del Partito comunista, diventerà la sua donna ma anche la sua manager.
Sarà lei a scrivere le didascalie in varie lingue alle sue immagini, a persuaderlo ad abbandonare il suo atteggiamento trasandato e a dargli un “restyling”, come lo chiameremmo adesso, più professionale, mentre lui le rivela i “segreti” della fotografia.

Grazie a una geniale intuizione di Gerda, André inizia a farsi chiamare “Robert Capa”, un nome capace di evocare un origine italo-americana che affascina gli editori, i quali, dopo anni di disinteresse verso l’esule ungherese Endre “André” Ernö Friedmann, ora  sono pronti a pagare le sue foto  anche al triplo del prezzo di mercato.

Come sarà lo stesso Capa a raccontare, questo nome era stato ideato pensando al noto regista di Hollywood Frank Capra.
Anche la sua abile agente Gerda decide di assumere un nome più cosmopolita “Gerda Taro”, cognome ispirato al pittore giapponese che all’epoca viveva a Parigi, Taro Okamoto.


Da miliziano e reporter della resistenza spagnola a grande fotografo di guerra

Miliziano colpito a morte, Cerro Muriano (Cordoba), 5 settembre 1936

Nel 1936 l’Europa va drammaticamente polarizzandosi in due schieramenti: fascisti e antifascisti. Questo è anche l’anno nel quale Hitler e Mussolini decidono di schierarsi militarmente accanto al generale Franco che in Spagna ha intrapreso la “ribellione” fascista nei confronti del governo repubblicano.

Con un contratto procurato da Gerda Taro con la rivista “Vu”, i due, Gerda e Robert Capa si recano in Spagna per condurre un reportage sulla resistenza civile spagnola. Capa con la sua inseparabile Leica e gerda, alla sua prima esperienza fotografica importante, con una Rolleiflex.

Il 5 settembre 1936, nei pressi di Cordoba, a Cerro Muriano, Capa scatterà la sua celeberrima foto del miliziano colpito a morte nell’atto di cadere al suolo, una foto che verrà ripresa in numerosi testi di storia ed assurgerà a simbolo della Resistenza spagnola e dei suoi coraggiosi miliziani.

Nel novembre 1936 Capa è a Madrid per immortalare con la sua Leica, come tragico presagio, il primo bombardamento condotto su vasta scala su una città europea.

È forse proprio in questa circostanza che avviene un affinamento della sua poetica fotografica: Capa si fa interprete dei volti delle persone che incontra per strada e dei combattenti; inizia a raccontare la terribilità della guerra non soltanto attraverso le immagini di battaglia.

Durante questo soggiorno a Madrid, Capa conosce Ernest Hemingway. Lo scrittore statunitense, che si trova in Spagna per combattere al fianco dei miliziani repubblicani, resta folgorato dalle immagini di Capa, in grado di raccontare gli eventi e la Storia più di mille parole.

Le fotografie che Capa scatta a Madrid iniziano a fare il giro del mondo: compaiono sulle rinomate riviste “Regards”, “Weekly Illustrated” e “Life”, rivista americana con la quale Capa avrebbe sottoscritto il più importante contratto della sua carriera, quello dello sbarco in Normandia.
Questo è il momento nel quale Robert Capa viene conosciuto dal mondo come il più grande fotografo di guerra.

Nel 1937 in rapporto con Gerda Taro si inclina.
Prima di fare rientro a Parigi, Capa si reca a Bilbao per documentare il drammatico assedio della città, colpita da circa venti attacchi aerei in una sola mattinata. Anche in questo caso sono spesso soltanto i volti delle persone, colti dalla sua straordinaria sensibilità, a saper raccontare le drammatiche circostanze.

Bilbao sotto attacchi aerei, maggio 1937

Gerda, oltre al suo lavoro di fotoreporter, si lancia con coraggio e determinazione in battaglia al fianco della Resistenza spagnola.
Trova la morte a Brunete, nel luglio del 1937, schiacciata da un carro armato lealista, durante la drammatica ritirata dei miliziani repubblicani.

Il giorno del suo ventiseiesimo compleanno il partito comunista francese le organizzerà un funerale maestoso, salutando come eroina della lotta antifascista questa giovanissima donna che sarà la prima fotoreporter a perdere la vita sul campo di battaglia.
Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero parigino Père Lachaise.

A soli ventitre anni, Robert Capa, si ritrova davvero solo e fortemente motivato a lanciarsi nel suo elemento naturale: la guerra.
In questo periodo sottoscrive un contratto con “Life” che gli garantirà la pubblicazione delle sue foto sulla prestigiosa rivista per parecchi anni.

Nel febbraio del 1938 accetta l’offerta del regista Joris Ivens per la realizzazione di un documentario sull’aggressione nipponica nei confronti della Cina, in fronte orientale della terribile guerra che sarebbe scoppiata di li a pochi mesi.

Una volta tornato in Francia, raggiunto dalle terribili notizie provenienti dalla Spagna, Capa sente l’obbligo morale di ritornare nella Penisola iberica per documentare il dramma dei miliziani repubblicani e dell’ineluttabile destino di sconfitta della Repubblica spagnola, abbandonata da Stalin che intanto si è avvicinato a Hitler.

Il suo sguardo sensibilissimo ci ha lasciato delle meravigliose immagini della cerimonia di addio dei volontari delle Brigate internazionali che, nell’ottobre del ’38, sfilano a Barcellona con il pugno alzato e con i volti ancora pieni di speranza.

Cerimonia di addio delle Brigate internazionali (Barcellona, ottobre 1938)

Prima di lasciare definitivamente la Spagna lo sguardo profondo di Capa si focalizza sul terribile dramma dei rifugiati che fuggono dalle rappresaglie delle truppe franchiste, portando con se tutto quello che possono, come fragile appiglio di una normalità perduta, verso una frontiera che si rivelerà inospitale, quella francese.

Sono foto piene di rispetto e dignità verso questi soggetti, quelle persone incalzate dalla fatale inesorabilità della storia.

Forse la più straziante tra queste immagini è una serie di scatti che ritraggono un’anziana donna miracolosamente illesa dopo un attacco condotto da aerei spuntati improvvisamente dal cielo azzurro e terso di Terragona, località a sud di Barcellona.
L’anziana donna gira intorno al suo carro rovesciato in preda allo shock, tra i cadaveri dei suoi muli e del suo cane.

Terragona, Spagna (gennaio 1939)


Robert Capa, un testimone fondamentale della Seconda guerra mondiale

Robert capa e il fotoreporter britannico George Rodger (Napoli, 1943)

Nel settembre 1939, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il governo francese decide l’internamento di molte persone sospettate di nutrire simpatie per la sinistra.
Capa s’imbarca per New York, città dove si erano già stabiliti la madre ed il fratello minore, mentre il padre era rimasto a Budapest.

Capa in questo periodo accetta di documentare storie che definirà come irrilevanti per la rivista “Life”, storie che raccontano la vita americana che per il momento sembra disinteressarsi al dramma che sta avvenendo in Europa.

La rivista “Life” gli organizza un matrimonio -che non sarà mai consumato- con la splendida modella di “Vogue”, Toni Sorel, per permettergli l’ottenimento della cittadinanza americana.

Per il momento torna in Europa per effettuare un reportage sull’irriducibilità dei londinesi di fronte ai bombardamenti tedeschi. Il servizio tratta la figura di padre Hutchinson, che continua a celebrare la messa nella sua chiesa senza tetto (chiesa di St. John).

In questo periodo Capa produce anche delle suggestive fotografie alle famiglie dei parrocchiani di padre Hutchinson.
La sua empatia con la gente, fa si che non ha neanche bisogno di far mettere in posa queste persone e spiega anche la lezione che darà in seguito ai fotografi amatoriali: “Siate simpatici con la gente e fateglielo sapere!”

E sempre in questo periodo Capa inizia a scattare anche un’interessante serie di foto a giovani prostitute.

A colpa del suo status di “alien enemy” (l’Ungheria ha dichiarato guerra alle forze alleate)  non può essere pienamente accreditato dall’esercito americano in qualità di corrispondente al fronte e non può raggiungere il primo gruppo di corrispondenti americani in Algeria e Marocco dove gli alleati hanno lanciato l’offensiva dell’Africa settentrionale.

A Reading, sempre in Inghilterra, dove segue un corso per pilota di aerei, s’innamora della giovane moglie del suo istruttore di volo, Elaine “Pinky”, per il colore dei suoi capellinbbiondo-fragola.

Nel marzo de ‘43 Robert Capa si reca in Tunisia per documentare l’offensiva mossa dal generale Patton per tagliare i rifornimenti dell’Asse.

Capa suscita l’ammirazione di tutti i soldati che lo incontrano per il suo totale disprezzo del pericolo e le sue straordinarie abilità di sopravvivenza. Per quanto scomodo e rischioso, Capa non avrebbe mai rinunciato a un servizio in grado di assicurargli foto eccitanti.
Scriverà alla madre:”Sono troppo popolare e questo finirà per uccidermi un giorno!”

Nell’agosto del ’43 Capa è in Sicilia per realizzare un servizio sulla VII armata del generale Patton appena sbarcata alla conquista dell’isola.
Avrebbe voluto fotografare la furiosa battaglia di Troina, sulla strada del porto di Messina dove i tedeschi ripiegavano in furiosa ritirata verso la penisola, ma dato che la fanteria si muoveva soltanto di notte, i suoi scatti narreranno la guerra ancora una volta attraverso gli sguardi di un popolo impaurito ed afflitto dall’immane tragedia del conflitto.

Troina, agosto 1943

Il primo aprile del ’43 Capa entra a Napoli e ritrova una grande città improvvisamente precipitata nel medioevo. Tra le sue immagini più suggestive sicuramente quella dei funerali di giovanissimi partigiani partenopei, studenti di una scuola del Vomero, i quali capitanati da alcuni loro insegnanti avevano preso armi e munizioni dai tedeschi per combattere le gloriose Quattro giornate che precedettero l’ingresso alleato nella città.
Come dirà in seguito lo stesso Capa, quelle immagini del dolore straziante delle madri “Sono state le più vere immagini di quella vittoria”.

Funerale giovani partigiani (Napoli, ottobre 1943)

A Napoli conosce anche il fotoreporter inglese e avventuriero dai mille mestieri George Rodger, altro eccelso fotografo che sarà cofondatore della rinomata agenzia Magnum.

Capa ritorna a Londra per poter assistere lo sbarco alleato che porterà alla liberazione di Parigi. Intanto nella capitale britannica convive con “Pinky” nella lussuosa suite del Dorcester Hotel.
Le sue fotografie di guerra vanno letteralmente a ruba: le riviste inglesi pubblicano con un po’ di “differita” le stessi immagini che appaiono sulla rivista “Time”.

Questo è uno strano periodo fatto di feste, di party e di stordimento, in attesa che gli alleati annunciassero l’inizio dell’offensiva militare per l’invasione della Normandia. Si beveva, si danzava, si volteggiava tra i tavoli accompagnati dal suono delle bombe e il fuoco della batteria contraerea.

Il 29 maggio del ’44 Capa riceve la comunicazione che lo informa di essere stato scelto, insieme ad altri tre inviati, per documentare l’invasione della Francia da parte degli Alleati.

Per essere sicuro di trovarsi al centro dell’azione, si unisce alla compagnia E del secondo battaglione che avrebbe condotto il primo sbarco sulla spiaggia di Omaha Beach (nome in codiche della spiaggia di 8 chilometri tra Sainte-Honorine-des-Pertes a Vierville-sur-Mer nel dipartimento del Calvados, nella Bassa Normandia).
Uno dei suoi principi fotografici lasciatici in eredità è racchiuso in questa breve frase: “Se le tue immagini non sono abbastanza buone, è perché non sei stato abbastanza vicino.”

L’attacco è stabilito per le 6 e 30 del mattino per avere abbastanza luce. A circa le tre del mattino, una volta avvistata in lontananza la costa normanna a bordo fu servito un abbondante colazione a base di uova, salsicce e caffè.
Alle 4 e 15 del mattino fu calata in mare la lancia da sbarco. Il mare era agitatissimo, armi e munizioni erano sigillati dal cellofan ed a bordo regnava un silenzio totale, molto simile a una preghiera senza parole.
Improvvisamente Capa si ritrova in acqua circondato da un caos vorticoso di uomini che corrono verso la riva ancora sommersi dall’acqua. Nelle acque basse ci sono ostacoli di acciaio e cemento, arpioni e mine lasciate dai tedeschi. È il D-Day.

D-Day, 6 giugno 1944

Lo stesso Capa descriverà, con la sua grande autoironia, queste foto attraverso lo stesso titolo della sua autobiografia di guerra “Slightly out of Focus” (“Lievemente sfocate”). Titolo che aveva adottato la stessa rivista “Life” nel numero del 19 giugno 1944, quando le foto erano apparse al pubblico, attribuendo la sfocatura delle immagini al tremore delle mani del fotografo.

Come scrive Capa nella sua avvincente biografia: “Quando finii di scattare nei miei calzoni era freddo. Cercai di staccarmi dal mio palo d’acciaio ma ogni volta i proiettili mi ricacciavano indietro. C’era uno dei nostri carri anfibi, mezzo carbonizzato, che sporgeva dall’acqua e mi offriva un primo riparo. Lo raggiunsi facendomi largo fra i cadaveri galleggianti, mi fermai a scattare altre foto e facendo appello a tutte le mie forze raggiunsi la spiaggia. La pendenza della costa ci offriva una certa protezione dalle mitragliatrici e dai fucili purché ci tenessimo bassi, ma la marea ci sospingeva verso il filo spinato dove eravamo facile bersaglio per la fucileria. Tirai fuori la mia seconda Contax e cominciai a scattare senza mai alzare la testa.”

Per lo sbarco in Normandia Robert Capa aveva portato due Contax reflex 35 mm caricate con due rullini da 36 pose in bianco e nero.
Terminato il rullino della seconda macchina fotografica si rese conto che le sue mani gli tremavano tanto da non permettergli la sostituzione del rullino. Aveva così deciso di raggiungere il mezzo sanitario per l’evacuazione dei feriti per sostituire il rullino e ritornare in riva. Ma una volta giunto il mezzo anfibio lo aveva riportato insieme ai feriti alla nave trasporto dove Capa si era adagiato al suolo e si era addormentato sfinito.

Sembra che le fotografie di Capa dello sbarco in Normandia siano state rovinate in fase di sviluppo nella redazione londinese di “Life”: nella fretta un addetto alla camera oscura aveva alzato la temperatura dell’essiccatoio facendo fondere l’emulsione della pellicola.

Soltanto undici delle settantadue foto che Capa aveva scattato rischiando ad ogni secondo la vita poterono essere pubblicate.

Altri scatti interessanti sono quelli che Capa realizzerà nei giorni immediatamente successivi lo sbarco in Normandia, che, attraverso la visione dei mezzi corazzati disposti sul campo, testimoniano il consolidamento della presenza americana nel territorio francese.

Lo sguardo di Capa alle pile di cadaveri dei soldati tedeschi, preferisce fotografare la calda accoglienza della popolazione nei confronti dei soldati statunitensi.

Capa si fa interprete dei sentimenti e delle sofferenze degli individui al di là dei loro schieramenti politici. Una delle sue foto più suggestive è quella che ritrae una donna francese alla quale è stata rapata la testa, colpevole di aver partorito un bambino, che porta in grembo, da un soldato tedesco. La donna appare attorniata da una folla di persone che la insultano con i volti contratti in diaboliche espressioni di scherno, una sorta di “Madonna incalzata da grotteschi demoni”, come avrebbe detto Richard Whelan, uno dei principali studiosi di Capa.

Chartres, Francia (agosto 1944)

La mattina del 25 agosto 1944 Capa è uno dei primi americani a fare ingresso a Parigi attraverso la Porte d’Orléans.
Oltre alla calorosa accoglienza della popolazione, nella capitale francese c’era ancora in pericolo dei cecchini tedeschi irriducibili, ancora annidati in molti edifici. Era un combattimento strada per strada, da palazzo a palazzo, da appartamento ad appartamento.
Ad esempio, mentre il 26 agosto Capa sta immortalando la trionfale parata in onore al generale De Gaulle sugli Champs-Elysées, l’aria di festa viene improvvisamente smorzata dai sibili dei proiettili di alcuni cecchini tedeschi che sparano sulla popolazione in festa.



A testa alta verso la morte - Gli ultimi dieci anni della sua vita

Invece di ritornare subito verso le zone calde del fronte, Robert Capa decide di restarsene un po’ a Parigi “la città dove ho imparato a bere, a mangiare e amare”.

Poi nell’ottobre del 1944 si reca a Londra per il ventisettesimo compleanno di “Pinky”, la quale intanto ha ottenuto il divorzio ed è pronta a sposarlo. La lieta notizia è in grado di mettere in fuga il fotografo, il quale viene tratto d’impaccio dalla comunicazione che lo informa di essere stato scelto per essere inviato in Germania al seguito della XVII divisione aviotrasportata per documentare l’invasione terrestre da parte degli alleati sul suolo tedesco.

In una mattina del marzo del ’45, dopo essersi assicurato che le sue due macchine fotografiche siano bel fissate alle gambe e che la sua borraccia di scotch sia ferma nella tasca sopra il cuore, si lancia con il paracadute su Wesel, una città confinante con il Belgio in un campo aperto sotto il tiro nemico.
In realtà la resistenza tedesca è alquanto fiacca e le truppe americane fanno sin da subito molti prigionieri.
L’atmosfera, tra le fitte nebbie del mattino è surreale. Ovunque ci sono contadini tedeschi in fuga dalle fattorie in fiamme.

Wesel, Germania (marzo 1945)

I terribili campi di concentramento brulicano di fotografi e non lo interessano, perché, come dirà: “Ogni nuova immagine che ritrae l’orrore non fa che ridurre l’impatto dell’effetto totale”. Forse evita di fotografarli anche perché è sopraffatto dalla terribile angoscia di potervi trovare i cadaveri di parenti e di amici d’infanzia.

A trentuno anni, una volta finita la guerra in Europa, Capa vive la sua prima crisi di identità artistica e professionale.
A Berlino dove documenta la devastazione della guerra appena finita, Capa incontra Ingrid Bergman, che aveva conosciuto qualche mese prima a Parigi.

Interrotto il suo contratto con “Life”, in seguito all’esplosione dell’atomica di Hiroshima che gli farà dire che la “professione del fotografo di guerra è davvero finita”, segue la Bergman a Hollywood, ma, nonostante vari tentatiti, i suoi progetti di regia per la sua autobiografia “Slightly out of Focus” abortiscono. Prova a dirigere alcuni documentari, ma i risultati non sono incoraggianti. Tra le varie carriere solo caldeggiate da Capa a Hollywood c’è anche quella di attore, quando l’amico Hemingway gli chiede d’interpretare il personaggio di Raphael lo zingaro nel film “Per chi suona la campana”.

Capa confesserà al fratello “Hollywood è la più grossa merda che abbia mai calpestato”.
La relazione con la Bergman, inserita totalmente nell’efficace sistema produttivo hollywoodiano, va in crisi e alla richiesta dell’attrice di regolarizzare la loro relazione sentimentale, Capa si rifugia ancora una volta nel fotogiornalismo, un mestiere davvero imprevedibile e rischioso per potersi conciliare con l’idea di famiglia che ha l’attrice.
Capa, che manterrà sempre un forte legame di affetto e di stima con la Bergman, le consiglierà di fuggire dalla soffocante macchina cinematografica che è diventata Hollywood. Consiglio che la Bergman seguirà, quando si recherà a Roma per “Roma città aperta”, la proposta cinematografica del regista Roberto Rossellini che sarebbe poi sfociata in un matrimonio.

Capa ora è davvero stanco di fare l’impiegato della fotografia per agenzie alle quali spettavano tutti i diritti e i negativi delle sue fotografie e sente la necessità di poter vendere autonomamente le sue immagini a tutte le testate del mondo e di poter avere pieno potere decisionale su come le sue immagini verranno utilizzate.

Nel 1947 a New York con quattro amici fotografi, quali Henri Cartier-Bresson, David Seymour “Chim”, George Rodger e William Vandivert, fonda la Magnum, una tra le più prestigiose agenzie fotografiche al mondo, che nasce come una cooperativa fotografica con due sedi a New York e a Parigi.
Il nome “Magnum”, in riferimento alla famigerata bottiglia di champagne da un litro e mezzo fu scelto per esprimere da un lato buon umore e dall’altro anche grandezza e prestigio.

Capa dimostrerà sempre una cura e un’attenzione particolari nei confronti dei giovani fotografi, considerato come vivaio fondamentale senza il quale l’agenzia avrebbe perso la sua ragione d’esistere: li aiuterà sul piano professionale, gli suggerirà storie interessanti, gli procaccerà incarichi e li sosterrà economicamente.

Nel maggio del 1948, quando gli inglesi lasciano la Palestina, da ebreo sente il dovere di documentare la nascita della nuova nazione di Israele.
Poi tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 Capa conduce una vita da cosmopolita, sostenendo anche ingenti spese che in realtà non può permettersi, fissando Parigi come epicentro del suo perpetuo vagabondare.

La sua aria allegra e vincente e la sua straordinaria popolarità in realtà nascondono un tedio interiore, scriverà al fratello: “Devo fare assolutamente qualcosa per poter tornare all’azione”.
Questa sua richiesta di ritornare all’azione sarà accolta dal destino e nel 1954 si reca in giappone per coprire un incarico offertogli dalla Mainichi Press, per sostituire un fotografo per documentare il conflitto franco-vietnamita, una guerriglia pericolosissima nella quale risulta quasi impossibile proteggersi dagli attacchi vietnamiti e dalle trappole dalle quali è infestato il territorio.

Capa si lancia in questa nuova guerra con lo stesso spirito con la quale si era lanciato nel secondo conflitto mondiale e con lo stesso sguardo sensibile e attento ai volti delle persone.

Capa arriva in una Hanoi già caduta sotto l’attacco dei guerriglieri vietnamiti e il suo sguardo si focalizza sullo sguardo allucinato dei soldati francesi feriti o sullo straziante dolore di una donna vietnamita che piange su una tomba.

Capa, accogliendo l’invito del colonnello Jean Lacapelle, accompagna le truppe francesi che devono distruggere dei loro forti per evitare che cadano in mani nemiche.
La mattina del 25 maggio 1945 il sole batte feroce sulle teste del convoglio, che, preceduto da uomini con i rilevatori antimine, è costretto a fermnarsi ripetutamente dai numerosi cecchini e dalle mine che infestano il campo di battaglia.

Accanto alle truppe francesi, intanto i contadini vietnamiti, come imperturbabili continuano il loro lavoro nei campi. La stoica immagine dei volti di questi contadini affascina Capa che ha deciso di farne il filo rosso per raccontare questa sua storia per immagini sul delta del fiume rosso, una storia che pensava di chiamare “Bitter Rice”, come il film “Riso amaro” del 1948 del regista italiano Giuseppe De Santis, del quale Capa aveva fotografato il set.
Nonostante il grave pericolo, fedele al suo imperativo di fotografare il più vicino possibile, Capa decide di scendere dalla jeep.
Alle 14 e 30 un suono perforante di una mina riecheggia nel cielo terso.

Vietnam, sulla strada di Namdinh, 25 maggio 1954 (l’ultima fotografia di Robert Capa)

Alla sua cerimonia funebre, sulla bandiera americana che avvolgerà il suo feretro, verrà appuntata la Croix de Guerre with Palm, una tra le più alte onorificenze francesi, anche se Capa non si era mai curato delle onorificenze militari e amava fotografare la guerra proprio per denunciare la sua terribile e insensata atrocità fatta di uomini che uccidono altri uomini.

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