Ricordando Robert Capa (Grandi fotografi)
Robert
Capa: una vita da zero a cento
Robert Capa, pseudonimo di Endre Ernö Friedmann, nacque nella parte
Pest di Budapest, il 22 ottobre 1913.
Pest era la parte
cosmopolita, sofisticata e
intellettualmente più attiva della città dove si parlava prevalentemente
tedesco, invece che ungherese.
Capa presenta due
caratteristiche particolari alla nascita, una folta criniera nera e un dito in
più ad una mano, che verrà asportato chirurgicamente in seguito. Caratteristiche
interpretate dalla madre come segni di un grande destino.
Julia, la madre, è
titolare di un’elegante sartoria ed è una donna determinata e dedita al lavoro;
il padre Dezsö è primo tagliatore della
sartoria della madre.
Capa prenderà molti lati del suo carattere dal padre, giocatore, un po’
irresponsabile e un po’ bugiardo, ma soprattutto abilissimo narratore di storie
che affascinano il piccolo Robert.
Capa, a proposito del suo modo veloce di lavorare, dirà: “Non sono
interessato a fare belle foto, ma innanzitutto desidero di ‘vedere’ una storia
e di raccontarla attraverso le immagini.”
La sua prima gioventù è caratterizzata da uno stile di vita
estremamente libero, errabondo e sperimentatore, che in qualche occasione lo
esporrà anche a gravi rischi.
Poco prima che compiesse i diciotto anni, stanco della dittatura
repressiva e antisemita di Miklós Horthy e insofferente delle
regole asfissianti della vita borghese dell’epoca, si unisce ai moti socialisti
e sindacali.
La polizia lo tiene d’occhio, finché una notte non gli piomba in casa
per arrestarlo; si salva, a condizione che lasci immediatamente il paese, soltanto grazie all’intervento del capo della
polizia, la cui moglie è cliente della sartoria della madre.
A poco più di diciotto anni, Robert lascia la prima e unica casa che ha
mai avuto e si trasferisce a Berlino per studiare scienze politiche e
giornalismo, professione che lo affascina, presso la Deutsche Hochschule.
Nel 1929, a causa della grande depressione americana, la famiglia non è
più in grado di sostenere economicamente i suoi studi.
Robert, non parlando bene tedesco, decide di ripiegare sulla
profressione di fotografo e trova un impiego come assistente alla camera oscura
e fattorino alla Dephot, un’importante agenzia fotografica.
Simon Guttmann, il direttore dell’agenzia si rende conto del suo
straordinario talento e gli presta una
Leica, molto maneggevole e di facile utilizzo, e lo spedisce in giro per la
città a cogliere la vita artistica e gli eventi.
Guttmann, importante esponente dell’avanguardia artistica tedesca,
resosi conto delle doti straordinarie di fotografo che ha Robert, gli offre
un’occasione straordinaria e lo invia a Copenhagen per fotografare Trockij,
invitato dagli studenti danesi per parlare della Rivoluzione russa.
Nonostante Trockij non gradiva essere fotografato, il giovane Capa,
riuscendo ad eludere la sorveglianza, anche grazie alla maneggevolezza e alle
dimensioni contenute della sua Leica, tornerà in Germania con una serie di foto
in grado di testimoniare lo straordinario carisma di Leon Trockij.
Con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, Capa da simpatizzante
comunista e da ebreo è costretto a lasciare la Germania e si trasferisce a
Parigi.
André, come si faceva chiamare al tempo, si ritrova in una città piena
di fotografi. In gravi ristrettezze economiche tira avanti tra vari espedienti,
anche qualche furtarello.
A Parigi entra in contatto con molti giovani fotografi, tali contatti
creeranno le fondamenta per la Magnum, la rinomata agenzia fotografica della
quale sarà cofondatore alla fine degli anni quaranta.
André entra in contatto con David
Szymin, chiamato “Chim”, pronuncia “Shim”,
fotogiornalista caratterizzato da una cultura vastissima, che lo presenterà a Henri Cartier-Bresson, il famigerato
fotografo dell’“attimo rivelatore”. (Capa, “Chim” e Bresson saranno tre dei
cinque fondatori dell’agenzia Magnum).
Robert-André riceverà un’importante lezione dalla straordinaria
sensibilità di Shim: “Per scattare delle immagini drammatiche non basta essere
aggressivi, se al momento di scattare non si sostituisce la propria sicurezza
con tutta la sensibilità e la tenerezza delle quali si è capaci.”
Gerda Taro e Robert Capa, Parigi 1934
Nel 1934 André conosce Gerda
Pohorylles, una profuga tedesca di più anni più grande di lui, il più
grande amore della sua vita.
Gerda, una donna decisa e geniale, segretaria e militante del Partito
comunista, diventerà la sua donna ma anche la sua manager.
Sarà lei a scrivere le didascalie in varie lingue alle sue immagini, a
persuaderlo ad abbandonare il suo atteggiamento trasandato e a dargli un
“restyling”, come lo chiameremmo adesso, più professionale, mentre lui le
rivela i “segreti” della fotografia.
Grazie a una geniale intuizione di Gerda, André inizia a farsi chiamare
“Robert Capa”, un nome capace di evocare un origine italo-americana che
affascina gli editori, i quali, dopo anni di disinteresse verso l’esule
ungherese Endre “André” Ernö Friedmann, ora sono pronti
a pagare le sue foto anche al triplo del
prezzo di mercato.
Come sarà lo stesso Capa a raccontare, questo nome era stato ideato
pensando al noto regista di Hollywood Frank Capra.
Anche la sua abile agente Gerda decide di assumere un nome più
cosmopolita “Gerda Taro”, cognome ispirato al pittore giapponese che all’epoca
viveva a Parigi, Taro Okamoto.
Da miliziano e reporter della
resistenza spagnola a grande fotografo di guerra
Miliziano colpito a morte, Cerro Muriano (Cordoba), 5 settembre 1936
Nel 1936 l’Europa va drammaticamente polarizzandosi
in due schieramenti: fascisti e antifascisti. Questo è anche l’anno nel quale
Hitler e Mussolini decidono di schierarsi militarmente accanto al generale
Franco che in Spagna ha intrapreso la “ribellione” fascista nei confronti del
governo repubblicano.
Con un contratto procurato da Gerda Taro con
la rivista “Vu”, i due, Gerda e Robert Capa si recano in Spagna per condurre un
reportage sulla resistenza civile spagnola. Capa con la sua inseparabile Leica
e gerda, alla sua prima esperienza fotografica importante, con una Rolleiflex.
Il 5 settembre 1936, nei pressi di Cordoba, a
Cerro Muriano, Capa scatterà la sua celeberrima foto del miliziano colpito a
morte nell’atto di cadere al suolo, una foto che verrà ripresa in numerosi
testi di storia ed assurgerà a simbolo della Resistenza spagnola e dei suoi
coraggiosi miliziani.
Nel novembre 1936 Capa è a Madrid per
immortalare con la sua Leica, come tragico presagio, il primo bombardamento
condotto su vasta scala su una città europea.
È forse proprio in questa circostanza che avviene
un affinamento della sua poetica fotografica: Capa si fa interprete dei volti
delle persone che incontra per strada e dei combattenti; inizia a raccontare la
terribilità della guerra non soltanto attraverso le immagini di battaglia.
Durante questo soggiorno a Madrid, Capa
conosce Ernest Hemingway. Lo
scrittore statunitense, che si trova in Spagna per combattere al fianco dei
miliziani repubblicani, resta folgorato dalle immagini di Capa, in grado di
raccontare gli eventi e la Storia più di mille parole.
Le fotografie che Capa scatta a Madrid
iniziano a fare il giro del mondo: compaiono sulle rinomate riviste “Regards”,
“Weekly Illustrated” e “Life”, rivista americana con la quale Capa avrebbe
sottoscritto il più importante contratto della sua carriera, quello dello
sbarco in Normandia.
Questo è il momento nel quale Robert Capa
viene conosciuto dal mondo come il più grande fotografo di guerra.
Nel 1937 in rapporto con Gerda Taro si
inclina.
Prima di fare rientro a Parigi, Capa si reca
a Bilbao per documentare il drammatico assedio della città, colpita da circa
venti attacchi aerei in una sola mattinata. Anche in questo caso sono spesso
soltanto i volti delle persone, colti dalla sua straordinaria sensibilità, a
saper raccontare le drammatiche circostanze.
Bilbao sotto attacchi aerei, maggio 1937
Gerda, oltre al suo lavoro di fotoreporter,
si lancia con coraggio e determinazione in battaglia al fianco della Resistenza
spagnola.
Trova la morte a Brunete, nel luglio del
1937, schiacciata da un carro armato lealista, durante la drammatica ritirata
dei miliziani repubblicani.
Il giorno del suo ventiseiesimo compleanno il
partito comunista francese le organizzerà un funerale maestoso, salutando come
eroina della lotta antifascista questa giovanissima donna che sarà la prima
fotoreporter a perdere la vita sul campo di battaglia.
Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero
parigino Père Lachaise.
A soli ventitre anni, Robert Capa, si ritrova
davvero solo e fortemente motivato a lanciarsi nel suo elemento naturale: la
guerra.
In questo periodo sottoscrive un contratto
con “Life” che gli garantirà la pubblicazione delle sue foto sulla prestigiosa
rivista per parecchi anni.
Nel febbraio del 1938 accetta l’offerta del
regista Joris Ivens per la realizzazione di un documentario sull’aggressione
nipponica nei confronti della Cina, in fronte orientale della terribile guerra
che sarebbe scoppiata di li a pochi mesi.
Una volta tornato in Francia, raggiunto dalle
terribili notizie provenienti dalla Spagna, Capa sente l’obbligo morale di
ritornare nella Penisola iberica per documentare il dramma dei miliziani
repubblicani e dell’ineluttabile destino di sconfitta della Repubblica
spagnola, abbandonata da Stalin che intanto si è avvicinato a Hitler.
Il suo sguardo sensibilissimo ci ha lasciato
delle meravigliose immagini della cerimonia di addio dei volontari delle
Brigate internazionali che, nell’ottobre del ’38, sfilano a Barcellona con il
pugno alzato e con i volti ancora pieni di speranza.
Cerimonia di addio delle Brigate
internazionali (Barcellona, ottobre 1938)
Prima di lasciare definitivamente la Spagna
lo sguardo profondo di Capa si focalizza sul terribile dramma dei rifugiati che
fuggono dalle rappresaglie delle truppe franchiste, portando con se tutto
quello che possono, come fragile appiglio di una normalità perduta, verso una
frontiera che si rivelerà inospitale, quella francese.
Sono foto piene di rispetto e dignità verso
questi soggetti, quelle persone incalzate dalla fatale inesorabilità della
storia.
Forse la più straziante tra queste immagini è
una serie di scatti che ritraggono un’anziana donna miracolosamente illesa dopo
un attacco condotto da aerei spuntati improvvisamente dal cielo azzurro e terso
di Terragona, località a sud di Barcellona.
L’anziana donna gira intorno al suo carro
rovesciato in preda allo shock, tra i cadaveri dei suoi muli e del suo cane.
Terragona, Spagna (gennaio 1939)
Robert
Capa, un testimone fondamentale della Seconda guerra mondiale
Robert capa e il fotoreporter britannico
George Rodger (Napoli, 1943)
Nel settembre 1939, con lo scoppio della
Seconda guerra mondiale, il governo francese decide l’internamento di molte
persone sospettate di nutrire simpatie per la sinistra.
Capa s’imbarca per New York, città dove si
erano già stabiliti la madre ed il fratello minore, mentre il padre era rimasto
a Budapest.
Capa in questo periodo accetta di documentare
storie che definirà come irrilevanti per la rivista “Life”, storie che
raccontano la vita americana che per il momento sembra disinteressarsi al
dramma che sta avvenendo in Europa.
La rivista “Life” gli organizza un matrimonio
-che non sarà mai consumato- con la splendida modella di “Vogue”, Toni Sorel,
per permettergli l’ottenimento della cittadinanza americana.
Per il momento torna in Europa per effettuare
un reportage sull’irriducibilità dei londinesi di fronte ai bombardamenti
tedeschi. Il servizio tratta la figura di padre Hutchinson, che continua a
celebrare la messa nella sua chiesa senza tetto (chiesa di St. John).
In questo periodo Capa produce anche delle
suggestive fotografie alle famiglie dei parrocchiani di padre Hutchinson.
La sua empatia con la gente, fa si che non ha
neanche bisogno di far mettere in posa queste persone e spiega anche la lezione
che darà in seguito ai fotografi amatoriali: “Siate simpatici con la gente e
fateglielo sapere!”
E sempre in questo periodo Capa inizia a
scattare anche un’interessante serie di foto a giovani prostitute.
A colpa del suo status di “alien enemy”
(l’Ungheria ha dichiarato guerra alle forze alleate) non può essere pienamente accreditato
dall’esercito americano in qualità di corrispondente al fronte e non può
raggiungere il primo gruppo di corrispondenti americani in Algeria e Marocco
dove gli alleati hanno lanciato l’offensiva dell’Africa settentrionale.
A Reading, sempre in Inghilterra, dove segue
un corso per pilota di aerei, s’innamora della giovane moglie del suo
istruttore di volo, Elaine “Pinky”, per il colore dei suoi
capellinbbiondo-fragola.
Nel marzo de ‘43 Robert Capa si reca in
Tunisia per documentare l’offensiva mossa dal generale Patton per tagliare i
rifornimenti dell’Asse.
Capa suscita l’ammirazione di tutti i soldati
che lo incontrano per il suo totale disprezzo del pericolo e le sue
straordinarie abilità di sopravvivenza. Per quanto scomodo e rischioso, Capa
non avrebbe mai rinunciato a un servizio in grado di assicurargli foto
eccitanti.
Scriverà alla madre:”Sono troppo popolare e
questo finirà per uccidermi un giorno!”
Nell’agosto del ’43 Capa è in Sicilia per
realizzare un servizio sulla VII armata del generale Patton appena sbarcata
alla conquista dell’isola.
Avrebbe voluto fotografare la furiosa
battaglia di Troina, sulla strada del porto di Messina dove i tedeschi
ripiegavano in furiosa ritirata verso la penisola, ma dato che la fanteria si
muoveva soltanto di notte, i suoi scatti narreranno la guerra ancora una volta
attraverso gli sguardi di un popolo impaurito ed afflitto dall’immane tragedia
del conflitto.
Troina, agosto 1943
Il primo aprile del ’43 Capa entra a Napoli e
ritrova una grande città improvvisamente precipitata nel medioevo. Tra le sue
immagini più suggestive sicuramente quella dei funerali di giovanissimi
partigiani partenopei, studenti di una scuola del Vomero, i quali capitanati da
alcuni loro insegnanti avevano preso armi e munizioni dai tedeschi per
combattere le gloriose Quattro giornate che precedettero l’ingresso alleato
nella città.
Come dirà in seguito lo stesso Capa, quelle
immagini del dolore straziante delle madri “Sono state le più vere immagini di
quella vittoria”.
Funerale giovani partigiani (Napoli, ottobre
1943)
A Napoli conosce anche il fotoreporter
inglese e avventuriero dai mille mestieri George
Rodger, altro eccelso fotografo che sarà cofondatore della rinomata agenzia
Magnum.
Capa ritorna a Londra per poter assistere lo
sbarco alleato che porterà alla liberazione di Parigi. Intanto nella capitale
britannica convive con “Pinky” nella lussuosa suite del Dorcester Hotel.
Le sue fotografie di guerra vanno
letteralmente a ruba: le riviste inglesi pubblicano con un po’ di “differita”
le stessi immagini che appaiono sulla rivista “Time”.
Questo è uno strano periodo fatto di feste,
di party e di stordimento, in attesa che gli alleati annunciassero l’inizio
dell’offensiva militare per l’invasione della Normandia. Si beveva, si danzava,
si volteggiava tra i tavoli accompagnati dal suono delle bombe e il fuoco della
batteria contraerea.
Il 29 maggio del ’44 Capa riceve la
comunicazione che lo informa di essere stato scelto, insieme ad altri tre
inviati, per documentare l’invasione della Francia da parte degli Alleati.
Per essere sicuro di trovarsi al centro
dell’azione, si unisce alla compagnia E del secondo battaglione che avrebbe
condotto il primo sbarco sulla spiaggia di Omaha Beach (nome in codiche della
spiaggia di 8 chilometri tra Sainte-Honorine-des-Pertes a Vierville-sur-Mer
nel dipartimento del Calvados, nella Bassa
Normandia).
Uno dei suoi principi fotografici lasciatici
in eredità è racchiuso in questa breve frase: “Se le tue immagini non sono
abbastanza buone, è perché non sei stato abbastanza vicino.”
L’attacco è stabilito per le 6 e 30 del
mattino per avere abbastanza luce. A circa le tre del mattino, una volta
avvistata in lontananza la costa normanna a bordo fu servito un abbondante
colazione a base di uova, salsicce e caffè.
Alle 4 e 15 del mattino fu calata in mare la
lancia da sbarco. Il mare era agitatissimo, armi e munizioni erano sigillati
dal cellofan ed a bordo regnava un silenzio totale, molto simile a una
preghiera senza parole.
Improvvisamente Capa si ritrova in acqua
circondato da un caos vorticoso di uomini che corrono verso la riva ancora
sommersi dall’acqua. Nelle acque basse ci sono ostacoli di acciaio e cemento,
arpioni e mine lasciate dai tedeschi. È il D-Day.
D-Day, 6 giugno 1944
Lo stesso Capa descriverà, con la sua grande
autoironia, queste foto attraverso lo stesso titolo della sua autobiografia di
guerra “Slightly out of Focus” (“Lievemente sfocate”). Titolo che aveva
adottato la stessa rivista “Life” nel numero del 19 giugno 1944, quando le foto
erano apparse al pubblico, attribuendo la sfocatura delle immagini al tremore
delle mani del fotografo.
Come scrive Capa nella sua avvincente
biografia: “Quando finii di scattare nei
miei calzoni era freddo. Cercai di staccarmi dal mio palo d’acciaio ma ogni
volta i proiettili mi ricacciavano indietro. C’era uno dei nostri carri anfibi,
mezzo carbonizzato, che sporgeva dall’acqua e mi offriva un primo riparo. Lo
raggiunsi facendomi largo fra i cadaveri galleggianti, mi fermai a scattare
altre foto e facendo appello a tutte le mie forze raggiunsi la spiaggia. La
pendenza della costa ci offriva una certa protezione dalle mitragliatrici e dai
fucili purché ci tenessimo bassi, ma la marea ci sospingeva verso il filo
spinato dove eravamo facile bersaglio per la fucileria. Tirai fuori la mia
seconda Contax e cominciai a scattare senza mai alzare la testa.”
Per lo sbarco in Normandia Robert Capa aveva
portato due Contax reflex 35 mm caricate con due rullini da 36 pose in bianco e
nero.
Terminato il rullino della seconda macchina
fotografica si rese conto che le sue mani gli tremavano tanto da non
permettergli la sostituzione del rullino. Aveva così deciso di raggiungere il
mezzo sanitario per l’evacuazione dei feriti per sostituire il rullino e
ritornare in riva. Ma una volta giunto il mezzo anfibio lo aveva riportato
insieme ai feriti alla nave trasporto dove Capa si era adagiato al suolo e si
era addormentato sfinito.
Sembra che le fotografie di Capa dello sbarco
in Normandia siano state rovinate in fase di sviluppo nella redazione londinese
di “Life”: nella fretta un addetto alla camera oscura aveva alzato la
temperatura dell’essiccatoio facendo fondere l’emulsione della pellicola.
Soltanto undici delle settantadue foto che
Capa aveva scattato rischiando ad ogni secondo la vita poterono essere
pubblicate.
Altri scatti interessanti sono quelli che
Capa realizzerà nei giorni immediatamente successivi lo sbarco in Normandia,
che, attraverso la visione dei mezzi corazzati disposti sul campo, testimoniano
il consolidamento della presenza americana nel territorio francese.
Lo sguardo di Capa alle pile di cadaveri dei
soldati tedeschi, preferisce fotografare la calda accoglienza della popolazione
nei confronti dei soldati statunitensi.
Capa si fa interprete dei sentimenti e delle
sofferenze degli individui al di là dei loro schieramenti politici. Una delle
sue foto più suggestive è quella che ritrae una donna francese alla quale è
stata rapata la testa, colpevole di aver partorito un bambino, che porta in
grembo, da un soldato tedesco. La donna appare attorniata da una folla di
persone che la insultano con i volti contratti in diaboliche espressioni di
scherno, una sorta di “Madonna incalzata da grotteschi demoni”, come avrebbe
detto Richard Whelan, uno dei principali studiosi di Capa.
Chartres, Francia (agosto 1944)
La mattina del 25 agosto 1944 Capa è uno dei
primi americani a fare ingresso a Parigi attraverso la Porte d’Orléans.
Oltre alla calorosa accoglienza della
popolazione, nella capitale francese c’era ancora in pericolo dei cecchini
tedeschi irriducibili, ancora annidati in molti edifici. Era un combattimento strada
per strada, da palazzo a palazzo, da appartamento ad appartamento.
Ad esempio, mentre il 26 agosto Capa sta
immortalando la trionfale parata in onore al generale De Gaulle sugli
Champs-Elysées, l’aria di festa viene improvvisamente smorzata dai sibili dei
proiettili di alcuni cecchini tedeschi che sparano sulla popolazione in festa.
A testa
alta verso la morte - Gli ultimi dieci anni della sua vita
Invece di ritornare subito verso le zone
calde del fronte, Robert Capa decide di restarsene un po’ a Parigi “la città
dove ho imparato a bere, a mangiare e amare”.
Poi nell’ottobre del 1944 si reca a Londra
per il ventisettesimo compleanno di “Pinky”, la quale intanto ha ottenuto il
divorzio ed è pronta a sposarlo. La lieta notizia è in grado di mettere in fuga
il fotografo, il quale viene tratto d’impaccio dalla comunicazione che lo
informa di essere stato scelto per essere inviato in Germania al seguito della
XVII divisione aviotrasportata per documentare l’invasione terrestre da parte
degli alleati sul suolo tedesco.
In una mattina del marzo del ’45, dopo
essersi assicurato che le sue due macchine fotografiche siano bel fissate alle
gambe e che la sua borraccia di scotch sia ferma nella tasca sopra il cuore, si
lancia con il paracadute su Wesel, una città confinante con il Belgio in un
campo aperto sotto il tiro nemico.
In realtà la resistenza tedesca è alquanto
fiacca e le truppe americane fanno sin da subito molti prigionieri.
L’atmosfera, tra le fitte nebbie del mattino
è surreale. Ovunque ci sono contadini tedeschi in fuga dalle fattorie in
fiamme.
Wesel, Germania (marzo 1945)
I terribili campi di concentramento brulicano
di fotografi e non lo interessano, perché, come dirà: “Ogni nuova immagine che
ritrae l’orrore non fa che ridurre l’impatto dell’effetto totale”. Forse evita
di fotografarli anche perché è sopraffatto dalla terribile angoscia di potervi
trovare i cadaveri di parenti e di amici d’infanzia.
A trentuno anni, una volta finita la guerra
in Europa, Capa vive la sua prima crisi di identità artistica e professionale.
A Berlino dove documenta la devastazione
della guerra appena finita, Capa incontra Ingrid Bergman, che aveva conosciuto
qualche mese prima a Parigi.
Interrotto il suo contratto con “Life”, in
seguito all’esplosione dell’atomica di Hiroshima che gli farà dire che la
“professione del fotografo di guerra è davvero finita”, segue la Bergman a
Hollywood, ma, nonostante vari tentatiti, i suoi progetti di regia per la sua
autobiografia “Slightly out of Focus” abortiscono. Prova a dirigere alcuni
documentari, ma i risultati non sono incoraggianti. Tra le varie carriere solo
caldeggiate da Capa a Hollywood c’è anche quella di attore, quando l’amico
Hemingway gli chiede d’interpretare il personaggio di Raphael lo zingaro nel
film “Per chi suona la campana”.
Capa confesserà al fratello “Hollywood è la
più grossa merda che abbia mai calpestato”.
La relazione con la Bergman, inserita
totalmente nell’efficace sistema produttivo hollywoodiano, va in crisi e alla
richiesta dell’attrice di regolarizzare la loro relazione sentimentale, Capa si
rifugia ancora una volta nel fotogiornalismo, un mestiere davvero imprevedibile
e rischioso per potersi conciliare con l’idea di famiglia che ha l’attrice.
Capa, che manterrà sempre un forte legame di
affetto e di stima con la Bergman, le consiglierà di fuggire dalla soffocante
macchina cinematografica che è diventata Hollywood. Consiglio che la Bergman
seguirà, quando si recherà a Roma per “Roma città aperta”, la proposta
cinematografica del regista Roberto Rossellini che sarebbe poi sfociata in un
matrimonio.
Capa ora è davvero stanco di fare l’impiegato
della fotografia per agenzie alle quali spettavano tutti i diritti e i negativi
delle sue fotografie e sente la necessità di poter vendere autonomamente le sue
immagini a tutte le testate del mondo e di poter avere pieno potere decisionale
su come le sue immagini verranno utilizzate.
Nel 1947 a New York con quattro amici
fotografi, quali Henri Cartier-Bresson, David Seymour “Chim”, George Rodger e
William Vandivert, fonda la Magnum,
una tra le più prestigiose agenzie fotografiche al mondo, che nasce come una
cooperativa fotografica con due sedi a New York e a Parigi.
Il nome “Magnum”, in riferimento alla
famigerata bottiglia di champagne da un litro e mezzo fu scelto per esprimere
da un lato buon umore e dall’altro anche grandezza e prestigio.
Capa dimostrerà sempre una cura e
un’attenzione particolari nei confronti dei giovani fotografi, considerato come
vivaio fondamentale senza il quale l’agenzia avrebbe perso la sua ragione
d’esistere: li aiuterà sul piano professionale, gli suggerirà storie
interessanti, gli procaccerà incarichi e li sosterrà economicamente.
Nel maggio del 1948, quando gli inglesi
lasciano la Palestina, da ebreo sente il dovere di documentare la nascita della
nuova nazione di Israele.
Poi tra la fine degli anni ’40 e i primi anni
’50 Capa conduce una vita da cosmopolita, sostenendo anche ingenti spese che in
realtà non può permettersi, fissando Parigi come epicentro del suo perpetuo
vagabondare.
La sua aria allegra e vincente e la sua
straordinaria popolarità in realtà nascondono un tedio interiore, scriverà al
fratello: “Devo fare assolutamente qualcosa per poter tornare all’azione”.
Questa sua richiesta di ritornare all’azione
sarà accolta dal destino e nel 1954 si reca in giappone per coprire un incarico
offertogli dalla Mainichi Press, per sostituire un fotografo per documentare il
conflitto franco-vietnamita, una guerriglia pericolosissima nella quale risulta
quasi impossibile proteggersi dagli attacchi vietnamiti e dalle trappole dalle
quali è infestato il territorio.
Capa si lancia in questa nuova guerra con lo
stesso spirito con la quale si era lanciato nel secondo conflitto mondiale e
con lo stesso sguardo sensibile e attento ai volti delle persone.
Capa arriva in una Hanoi già caduta sotto
l’attacco dei guerriglieri vietnamiti e il suo sguardo si focalizza sullo
sguardo allucinato dei soldati francesi feriti o sullo straziante dolore di una
donna vietnamita che piange su una tomba.
Capa, accogliendo l’invito del colonnello
Jean Lacapelle, accompagna le truppe francesi che devono distruggere dei loro
forti per evitare che cadano in mani nemiche.
La mattina del 25 maggio 1945 il sole batte
feroce sulle teste del convoglio, che, preceduto da uomini con i rilevatori
antimine, è costretto a fermnarsi ripetutamente dai numerosi cecchini e dalle
mine che infestano il campo di battaglia.
Accanto alle truppe francesi, intanto i
contadini vietnamiti, come imperturbabili continuano il loro lavoro nei campi. La
stoica immagine dei volti di questi contadini affascina Capa che ha deciso di
farne il filo rosso per raccontare questa sua storia per immagini sul delta del
fiume rosso, una storia che pensava di chiamare “Bitter Rice”, come il film
“Riso amaro” del 1948 del regista italiano Giuseppe De Santis, del quale Capa
aveva fotografato il set.
Nonostante il grave pericolo, fedele al suo
imperativo di fotografare il più vicino possibile, Capa decide di scendere
dalla jeep.
Alle 14 e 30 un suono perforante di una mina
riecheggia nel cielo terso.
Vietnam, sulla strada di Namdinh, 25 maggio
1954 (l’ultima fotografia di Robert Capa)
Alla sua cerimonia funebre, sulla bandiera
americana che avvolgerà il suo feretro, verrà appuntata la Croix de Guerre with
Palm, una tra le più alte onorificenze francesi, anche se Capa non si era mai
curato delle onorificenze militari e amava fotografare la guerra proprio per
denunciare la sua terribile e insensata atrocità fatta di uomini che uccidono
altri uomini.
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