L’Egitto ammette: molte le evidenze che indicano che il jet russo sia esploso in volo

L’analisi delle due scatole nere dell’ Airbus 321 della Kogalymavia, precipitato sul Sinai lo scorso 31 ottobre, indicherebbero un rumore di probabile esplosione avvenuta in volo; del resto anche la topografia dei resti, disseminati in un area di almeno otto miglia, rafforzano l’ipotesi attentato.

Quella dell’ordigno portato a bordo da un passeggero sembra essere l’ipotesi più accreditata. A tal proposito è stata anche avviata un’indagine su tutto il personale aeroportuale venuto a contatto con il jet.

Alcune parti dell’aereo sono state già trasportate in Russia per effettuare un’analisi più approfondita e, fonti americane citate dal New York Times, confermano che l’FBI si è dimostrata pienamente disponibile a collaborare con gli inquirenti russi per fare chiarezza sul drammatico accaduto, che, ricordiamo, è costato la vita a 224 cittadini di nazionalità russa. 
Putin intanto ha ordinato lo stop dei voli verso l’Egitto (circa 40mila i russi attualmente presenti sul suolo egiziano da far rientrare) e anche l’Italia sta facendo rientrare in patria i turisti che lo desiderano con voli riservati. (Nella notte l’aeroporto di Fiumicino ha accolto il rientro dei primi 118 turisti italiani). Ai passeggeri è consentito il solo trasporto dei bagagli a mano, i restanti bagagli saranno trasportati con aerei cargo.

Intanto all’aeroporto di Sharm El Sheikh regna il caos con circa 20mila turisti, in prevalenza britannici, che non riescono a rientrare in patria. EasyJet ha comunicato che 7 loro voli su 9 sono stati bloccati dalle autorità locali. Molti turisti britannici sarebbero dovuti rientrare già il 5 novembre su 49 voli, 29 dei quali inglesi). Molti turisti hanno ricevuto un sms che comunicava l’annullamento delle partenze mentre erano già in attesa d’imbarcarsi al gate.

Luigi Ventriglia

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